di Dario Denni
Una delle tematiche pi๠affascinanti nel settore delle telecomunicazioni è certamente quella che fa riferimento al gioco competitivo tra gli operatori alternativi e Telecom Italia, per governare la rete dell’accesso. E’ un tema caldo e sempre attuale perché da quando è iniziato il processo di privatizzazione, almeno nel nostro Paese, si è pressoché ignorato il fatto che mentre il regolatore orientava le sue scelte secondo una logica che funzionava solo sulla carta, il mercato seguiva regole empiriche sue proprie, che restano ancora valide per iniziare a porci le prime domande (Come mai l’Italia è agli ultimi posti per diffusione della banda larga?) ed ottenere le prime risposte (Perché il mercato è dominato dall´incumbent).
è vero che quando ha preso avvio il processo di privatizzazione, pi๠di quattro lustri fa, il fattore chiave del mercato non era tanto l’introduzione della concorrenza in un settore che non l’ha mai conosciuta. Incentivarla semmai, ha significato a lungo il ricorso alle teorie pi๠sorprendenti che con buona pace del legislatore nazionale, guardavano con un occhio alla legislazione straniera e con l´altro all’applicazione pratica che se ne poteva fare in Italia. Fiumi di inchiostro sprecati in slides, paper, convegni e un solo risultato.
Interi segmenti di linea che appartenevano all’ex monopolista, sono stati messi a disposizione degli altri operatori. Ma questo non per gentile concessione, sia chiaro, ma a fronte di un´offerta di interconnessione che annualmente l’ex monopolista è stato obbligato a presentare agli altri competitor.
Un fenomeno che cade sotto il nome di disaggregazione della rete locale e che per molto tempo ha costituito un valore aggiunto alla lotta al divario digitale che ostacola la diffusione della larga banda in certe aree depresse del territorio nazionale.
Chi ha vissuto da vicino questa esperienza ne conosce i risvolti e ricorda l’intenzione, buona o cattiva, di privilegiare l’accesso alla rete con una infrastruttura già esistente anche quando tutto lasciava immaginare che solo gli operatori proprietari di rete non sarebbero stati soggetti alle dinamiche dell´affitto. In altri termini l´unbundling era la soluzione pi๠facile e di gran lunga pi๠costosa, perchè portava a duplicare la rete, senza ridurre i costi. Provare poi ad esprimere rapidamente le potenzialità che solo la libera concorrenza sa donare allo sviluppo dei servizi locali.
Ma non è stato sufficiente aver reso obbligatoria un’offerta di riferimento annuale per sprigionare queste potenzialità e tutt’oggi, resta inespresso un mercato che mostra solo molte apparenti contraddizioni. Sicuri segni ci dicono che il nostro Paese resta indietro in Europa per quanto riguarda la diffusione della banda larga. E questa certezza è stata validata da Ecta nel suo rapporto annuale, laddove ha denunciato con chiarezza che la paralisi del sistema italiano è dovuta all´anomalia e allo strapotere dell’ex monopolista sulla rete, come chiave dominante del mercato. Nessuno si poteva aspettare che l’incumbent offrisse gratuitamente l’accesso, ma di certo in molti auspicavano un rigoroso controllo sui comportamenti anticompetitivi, quelli che tarpano le ali alla concorrenza sulla base di offerte non replicabili. Ci sono stati, è vero, molti interventi regolamentari fondati anche sul controllo delle Autorità di garanzia. Ma ancora oggi viene da chiedersi come sia possibile superare il fatto che per rendere accessibili risorse di rete dell’ex monopolista, si debba ogni volta far fronte al pagamento di prezzi all´ingrosso non orientati ai costi, e che perciò stesso ostacolano fortemente l’ingresso ai gestori alternativi. Ritorneremo pi๠volte su questo argomento e cercheremo di analizzarlo approfonditamente prendendo spunto dai fenomeni con cui esso confina, a partire dai nuovi servizi interattivi fino ad una valutazione pi๠compiuta della neutralità tecnologica e funzionale della rete dell’accesso.