Certezza e fiducia sono due termini che hanno un elemento in comune che è quello della sicurezza. Ecco, nella certezza la sicurezza non è problematizzata. Cioè si è talmente sicuri del contenuto, della condizione in cui ci si trova da non essere minimamente toccati dal sospetto che la situazione possa essere altra o che cio’ che si crede possa essere diverso dal modo in cui si crede.
Ecco, diciamo quindi che nella certezza, c’è una sicurezza compiuta in qualcuno o in qualcosa, nella fiducia invece la sicurezza c’è ma in qualche modo è una sicurezza concessa, data. Data anche con buone ragioni. E in ogni caso c’è un atteggiamento dove si anticipa il credito.
Evidentemente se lo si fa, lo si fa per buone ragioni o perché si è insicuri e allora si cerca un affidamento, oppure perché si vuole rischiare un di piu’ e allora in qualche modo bisogna crederci. Ecco quindi l’altra parola che appartiene a tutte e due le dimensioni, sia quella della certezza che quella della fiducia.
E parlo di questo perché noi ci troviamo in una società in cui si dice che sono cadute le certezze. Siamo in una società in cui è aumentata la sfiducia. Ci sono delle ragioni di lungo periodo che mostrano perché si è oggi in questa condizione, perché la gente si sente in questa condizione.
Sono venute meno le certezze perché il vecchio mondo, il mondo consueto in cui si credeva è stato scalzato dalle accelerazioni della storia, dai processi di globalizzazione. E infatti molti hanno una sintesi di una sindrome da sradicamento e non solo questo. Accanto a una sindrome da sradicamento sono riemerse le radici come nostalgia di cio’ che è stabile. E quindi in un mondo dove l’accelerazione produce indeterminatezza e dispersione quantomeno c’è una nostalgia delle radici, anche se poi queste radici si sono in parte disseccate o quantomeno sono irreperibili.
E questa perdita delle certezze ha diminuito la capacità di dare fiducia e quindi il clima di incertezza in cui ci si trova fa in modo che o si ha la nostalgia di antiche fiducie che riemergono o si chiede una sicurezza di natura sicuritaria, cioè giuridica. Si chiedono garanzie, si chiedono protezioni.
Queste cose evidentemente sono espressioni di un disagio. Bisogna vedere se le soluzioni sono adeguate allo stato. Molte volte un eccesso di richiesta di sicurezza e di garanzie produce una separazione, una cecità nei confronti degli altri una incapacità di attenzione verso il nuovo, e quindi una forma di regressione.
Dall’altro lato una riscoperta di antiche radici può riportare uno spirito identitario e quindi separato, ma soprattutto uno spirito identitario ma anche ideologicamente identitario.
Perché quando si apparteneva a un mondo di certezze c’era la calma di un’appartenenza. Quando si vogliono ritrovare certezze perdute c’è un’apoteosi, un’apologia dell’identità. C’è qualcosa di volontaristico. Perché in effetti la certezza veniva e viene quando si ha familiarità. Ecco: il bambino nei confronti dei genitori ha una spontanea fiducia perché si vede protetto.
Nelle società abbastanza ripetitive, rituali, c’erano forme di comportamento che erano talmente uniformi che si prevedeva piu’ o meno quello che sarebbe potuto accadere. Ti conosco, so come vanno le cose. L’andatura del mondo mi è presente, e allora in questo caso bastava avere delle fedeltà rituali. Delle obbedienze convenienti. E sostanzialmente si stava in una situazione di orizzonte di sicurezza.
Perché si possa trovare una soluzione a questa insicurezza bisogna in primo luogo essere capaci di rischio. E si è capaci di rischio se si ha una fiducia in se’ stessi. Cioè se si è convinti che vale la pena avventurarsi, vale la pena di fidarsi di qualcuno per stabilizzare il proprio futuro. Se in qualche modo non ci si affida a qualcuno, e non si crede a qualcosa si entra in una forma progressiva di regressione perché non c’è lo scatto in avanti. Ma questo non può avvenire per una deduzione. E’ chiaro che quando si da credito a qualcuno – la figura è anche economica, è anche bancaria – si fa un calcolo. Ma un calcolo ha sempre un ordine di probabilità. Non c’è una deduzione assoluta. Ci deve essere un salto e il salto si ha e si fa, soltanto quando il soggetto è preventivamente capace di tollerare la sconfitta. E in un gioco costo-beneficio, vale la pena rischiare ed aprirsi all’avvenire che essere sostanzialmente chiusi in se stessi, dove si è ugualmente sconfitti senza averci provato.
L’apertura al futuro esige uno slancio e una fiducia in se’ stessi, non fosse altro come capaci di tollerare il dolore perché soltanto fronteggiando questo richio noi siamo capaci di avvenire.